Chiesa di San Pio gremita (e molte persone hanno assistito alla serata attraverso un maxischermo nell’oratorio) martedì sera per l’incontro con Gianna Jessen, la giovane donna americana sopravvissuta all’aborto che ha raccontato la sua storia, la sua vita e la sua fede con una travolgente e contagiosa vitalità. “La mia madre biologica aveva 17 anni ed era al settimo mese e mezzo, dunque a una stadio avanzato di gravidanza, quando si rivolse a una clinica dove le praticarono l’aborto salino – ha raccontato la Jessen, 37enne –, cioè attraverso una soluzione che ustiona il feto e lo fa nascere già morto. Ma nacqui viva e al momento giusto, alle sei del mattino quando il dottore che aveva iniziato l’aborto non era ancora in servizio per completare l’opera. E fu lui a firmare il mio certificato di nascita: un medico che ha dichiarato di aver praticato più di un milione di aborti e che per lui è una passione. Un’infermiera si accorse che ero viva, mi portarono all’ospedale e si accorsero presto che io avevo una gran voglia di vivere. E sono grata a Gesù della vita che scorre in me”. Adottata a tre anni, Gianna ha saputo superare le difficoltà della paralisi cerebrale. “Chi mi ha adottato mi ha fatto fare fisioterapia tre volte al giorno e ora so camminare. Certo zoppico ancora, ma non è male per una a cui avevano detto che non sarebbe diventata nulla: alla fine è Dio che decide il nostro destino”.

E da questo amor per la vita e per Dio (“il mio vero Padre” per Gianna) ecco la sua battaglia a difesa della vita “Non bisogna rinunciare a lottare nella propria vita” e contro l’aborto “Se capite il vostro valore agli occhi di Dio, capite quanto è importante la vita durante il concepimento. E mi sorprende quando sento dire che un bimbo disabile non dovrebbe sopravvivere: che pensiero arrogante!”. A fine serata Gianna si è intrattenuta con quanti hanno voluto salutarla.

Luca Monduzzi